Ulisse e la Conoscenza


di Giovanni Lauricella

 
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La vicenda di Ulisse, riletta in chiave orientata alla riflessione sui limiti di giustificazione dell’agire umano, ci fa soffermare sul tema del quanto sia lecito, in termini di relazione, spingersi sulla strada dell’ irremovibile desiderio di ampliare l’orizzonte delle proprie conoscenze, senza con ciò infrangere altri valori di pari se non superiore dignità.
Ulisse, Sovrano di Itaca e, dunque, uomo al quale era stato attribuito dalla Sorte grande ed indiscutibile potere, decide ad un certo punto della sua esistenza di abbandonare tutto, Padre, Figlioletto, Moglie, per assecondare la sua brama di conoscenza; ci ricorda il Divino Poeta: “quando mi diparti' da Circe, che sottrasse/me più d'un anno là presso a Gaeta,/prima che sì Enëa la nomasse,/né dolcezza di figlio, né la pieta/del vecchio padre, né 'l debito amore/lo qual dovea Penelopè far lieta,/vincer potero dentro a me l'ardore/ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto/e de li vizi umani e del valore” (canto XXVI); a prescindere, dunque, dal fatto che la conoscenza non sempre ci conduce verso virtù, ma talvolta verso “vizi”, dei quali è bene percepire l’esistenza e quindi evitare, Dante ci conferma che il desiderio “ad oltranza”, la bramosia, oserei dire, di conoscenza, ci conduce inevitabilmente a distacchi dolorosi, essendo per sua stessa natura “incompatibile” con il mantenimento delle relazioni che la ostacolano; tanto più evidente diviene tale incompatibilità quanto più ci troviamo in posizione di “potere”, risultando in tal caso molto più visibile e perciò enfatizzata detta incompatibilità.
Ulisse, dunque, sacrifica tutto quanto aveva fino a quel momento “patrimonializzato” sull’altare della conoscenza, o meglio di ciò che Egli ritiene “conoscenza” ma che poi si rivelerà invece non tanto “conoscenza” quanto piuttosto “sfida”; TUTTO: amore paterno, amore filiale, amore coniugale; ma per di più perde inesorabilmente anche il potere che fino a quel momento la Buona Fortuna gli aveva riservato; la sua casa viene invasa dai tracotanti Proci e per lunghi anni gettata nel completo disordine ed anarchia; dovrà faticosamente riconquistarne il dominio al suo ritorno.
Ma non basta: Ulisse non è pago di ciò; insiste, si ostina e dunque, una volta uccisi i Proci, riparte verso terre lontane, ai confini del regno di Poseidone, oltre le Colonne d'Ercole. Si lascerà incantare dalle Sirene, che promettono falsa felicità che nasconde invece l’insidia, subirà umiliazioni, giungerà ad una terra dove non si conoscono il mare e le navi (simbolo di libertà) e dove non si condiscono i cibi col sale (simbolo di prosperità); scambierà il Suo remo di per un ventilabro.
Compirà il suo ultimo estremo gesto di competizione: affronta l'ultimo viaggio, l'ultima sfida oltre le Colonne d'Ercole. L'impresa si conclude con il naufragio e culmina con la morte dell'eroe greco con tutti i suoi compagni.
Ora, è vero che Ulisse in sé non può essere considerato un personaggio mitologico negativo; ma è anche vero che alla fine negativo lo rende non il suo desiderio di progredire, ma la sua incapacità di distinguere la conoscenza autentica da quella fallace, senza avvertire il senso del limite che a ciascuno di noi è imposto, quale imperativo categorico, in considerazione delle circostanze di età, di tempo e di luogo, di persone, di contesto e anche solo di edonistica valutazione dei risultati in termini di costi/benefici.
Ed, in fondo, è forse solo questo che dà senso compiuto alla nostra esistenza: percepire il limite oltre il quale non è consentito spingere il nostro agire.

Giovanni Lauricella

 

 

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