In una delle più belle villette sita lungo il lungomare Carducci, in Cesenatico, risalta la seguente iscrizione datata MCMXIV:
“Caudam quisque suam quatit insipienter asellus non secus ac vulgi lingua agitatur iners”.
Il fenomeno non è nuovo.
Invero anche nell’antica Roma il filosofo Lucio Anneo Seneca si era già posto l’interrogativo, nel suo celebre scritto De Constantia Sapientis, su quale dovesse essere la reazione della persona assennata a fronte dell’ingiuria e della contumelia dell’uomo insulso.
Al riguardo riporta un simpatico aneddoto sul ceffone ricevuto da Catone in pieno Foro da parte di un suo rivale, a fronte del quale il politico non manifestò alcuna reazione.
Interrogato sul perché della sua noncuranza, egli molto serenamente rispose che il medesimo contegno avrebbe tenuto a fronte del calcio di un asino; l’asino, infatti, non ha colpa di essere asino e, quindi, non ha neppure colpa della propria ignoranza, perché di questa nemmeno è consapevole.
L’ingiuria dell’asino, dunque, non reca offesa, perché l’ignoranza non oltrepassa i propri limiti e, dunque, non conosce se non che di se stessa. La logica infatti ci enuncia il “postulato di non contraddizione”; per cui, se è vero, come lo è, che ignorare è meno che sapere, è necessariamente anche vero che l’ignoranza non può che conoscere se non che dell’ignoranza, e mai potrà oltrepassare la soglia della conoscenza.
E’ dunque non l’insulto dell’asino, bensì il suo elogio che può arrecarci offesa ed al contempo atterrirci, perché se l’asino ci elogia è evidente che ci considera al suo pari e, così, di fronte all’elogio dell’asino, dovremmo interrogarci se non abbiamo commesso qualche errore.
Al contrario l’ingiuria dell’asino, così come la contumelia del meschino, ci lascia del tutto indifferenti, perché questi agita insipientemente la sua lingua così come l’asino agita vacuamente la sua coda.
Se quindi recare ingiuria, come ritiene il Filosofo, è proprio degli uomini deboli, effeminati, presuntuosi ed insolenti, specularmente sentirsi toccati dall’offesa di questi miseri dimostrerebbe di non avere senso della misura né carattere, e ci renderebbe loro simili.
Chi è consapevole del proprio valore, dunque, non ha altra possibilità se non che utilizzare la più intangibile tra le virtù: l’indifferenza; e non curarsi del raglio dell’asino perché, come insegna Esopo, le persone intelligenti non disprezzano nessuno.
Giovanni Lauricella