allievi ed ALLIEVI, maestri e Maestri


di Giovanni Lauricella

 
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In quaranta anni di pratica delle arti marziali ho conosciuto diverse tipologie di allievi, certamente non categorizzabili in rigide partizioni ma che, tuttavia, possono riassumersi in tre grandi categorie:
Prima categoria: gli allievi che vengono in palestra non per apprendere, ma per osservare con atteggiamento agnostico o finalizzato ad obiettivi venali: sono essi rispettivamente quelli che o desisteranno subito dalla pratica o che dopo pochi anni di dojo si permetteranno di criticare ciò che non conoscono e di giudicare ciò che non sanno; sono quelli che prima o poi, inevitabilmente, si ergeranno a censori dei loro stessi Maestri ai quali oseranno rinfacciare di non avere loro insegnato ciò che loro stessi non sono stati capaci di apprendere: per inabilità o per presunzione. Sono quelli che, al momento stesso in cui non riusciranno più a sostenere il peso della loro inettitudine, avranno, quale unica ed ultima via per superare le proprie frustrazioni, quella di mettersi in concorrenza con le loro stesse radici e pretenderanno di insegnare ad altri ciò che loro stessi non hanno mai saputo acquisire. Sono quelli che non riusciranno a trasmettere ai loro malcapitati allievi niente altro se non che la esteriorità delle arti marziali, la ridicola icona del “maestro guerriero”, omettendo di insegnare che nessuno è invincibile e che la vera arte del Maestro non è la spavalderia ma la capacità di valutare ogni situazione nel dato contesto di luogo e tempo in cui si manifesta, la capacità di cogliere il dinamismo evolutivo dell’arte da loro malamente praticata, perché “nulla è” ma “tutto diviene”, nella vita; e chi non è in grado di governare il cambiamento è immancabilmente destinato o a soccombere o a rimanere un sepolcro imbiancato.
Seconda categoria: gli allievi che pensano di fare carriera adulando il proprio Maestro. Siffatto tipo di allievo si spertica in servili lusinghe ed in ipocriti elogi dell’operato del suo Maestro, talvolta cercando goffamente di emularlo, auspicando che ciò possa costituirgli un valido viatico per assicurargli una visibilità nel mondo delle arti marziali. Questa, invero, è una categoria anche peggiore della prima, non solo perché, al pari di questa, denota di ignorare l’essenza ontologica dell’arte praticata, ma ancor più perché il solo credere di potere conquistare i favori di alcuno con la piaggeria è di per se stesso un grave oltraggio all’altrui dignità, in quanto appalesa la presunzione che la persona oggetto di incensamento abbia la medesima bassa percezione della vita qual è quella del suo adulatore, al pari del suo scarso spessore morale. L’allievo adulatore muove vacuamente la sua lingua non diversamente da come l’asino agita insulsamente la sua coda. Ora è evidente che qualora tale situazione si manifesti in un dojo, l’allievo non vale nulla e merita solo di essere allontanato; è altresì vero che, se ciò non accade, allora vuol dire che non vale nulla il suo maestro, che tale non è, non essendo in grado di distinguere l’ammirazione ed il rispetto dall’adulazione ed ipocrisia o, peggio, avendo necessità di affermare la propria presunta autorevolezza non per ciò che è ma per ciò che vuole apparire di essere e che invece non è. Entrambi appartengono alla categoria degli essere inutili ed ignavi; “fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna; non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.
Terza categoria: appartengono a questa specie gli allievi che con umiltà accettano gli insegnamenti che gli vengono proposti e con dignità sono capaci di interloquire con il loro Maestro – senza servilismo ma anche senza superbia – rappresentandogli correttamente ed educatamente le loro perplessità e dubbi, senza con ciò venire meno al loro dovere di lealtà e riconoscenza. Sono questi gli allievi che fanno crescere il dojo e che arricchiscono e nobilitano l’arte marziale nel suo complesso; sono questi gli allievi che diverranno essi stessi veri Maestri, con la maiuscola, e non maestrucoli da strapazzo che deridono le palestre frequentate da adolescenti e che snobbano i Maestri che si dedicano all’insegnamento delle arti marziali da pensionati, obliando che un giorno saranno essi stessi pensionati.

Gli allievi annoverabili in questa terza categoria sono invero coloro che hanno capito che per costruire correttamente il futuro occorre iniziare dai bambini, e che al contempo senza bambini non c’è futuro. Sono questi gli allievi che hanno capito che “Maestro” non è sinonimico di “super uomo”, bensì di “uomo superiore”; superiore alla meschinità di chi si fa forte con i deboli e debole con i forti; superiore alla miseria di chi critica senza sapere e giudica senza conoscere; superiore all’insipienza di chi demonizza il rinnovamento perché non ha strumenti per governarlo; superiore alla stoltezza di chi pensa che le scorciatoie portino più rapidamente alla mèta; superiore alla spavalda vanità di chi si auto-elogia o si compiace degli elogi altrui. Uomo superiore, dunque, anche rispetto alle sue stesse debolezze e ai suoi inevitabili limiti, perché consapevole di essi e non stupidamente proteso ad ignorarli.
Io ho avuto la fortuna di avere avuto, e di avere ancora, un Maestro – con la maiuscola – con il quale ho discusso e discuterò, ma a cui non ho mai mancato e mai mi ha mancato di rispetto; ho avuto la fortuna di avere Allievi – con la maiuscola – uno dei quali già giovane Maestro – con la maiuscola – che con me ha discusso e discuterà, ma senza mai mancarmi e senza che io gli abbia mai mancato di rispetto.
Ho insomma avuto la fortuna di incontrare veri Uomini, con la maiuscola, e non insipienti bipedi.

Giovanni Lauricella

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